
Mancano ormai pochi giorni all’appuntamento referendario dell’8 e 9 giugno, e come da tradizione il dibattito pubblico ruota attorno a un unico, cruciale interrogativo: riuscirà questa volta la consultazione a superare lo scoglio del quorum?
L’Italia ha vissuto una vera e propria parabola discendente nella partecipazione ai referendum abrogativi. Se negli anni ’70 e ’90 le urne registravano regolarmente afflussi massicci – con picchi storici come l’87,7% del referendum sul divorzio (1974) e il 77% su quello relativo al finanziamento pubblico ai partiti (1993) – dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso si è visto un progressivo disamore popolare verso questo strumento di democrazia diretta.
Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: mentre i referendum continuano a essere promossi con frequenza, complice anche le nuove norme sulla raccolta delle firme, ora possibili anche da casa, tramite SPID, la partecipazione elettorale è crollata, trasformando il raggiungimento del quorum in un’impresa sempre più ardua. Un cambiamento epocale che riflette l’evoluzione del nostro sistema politico e sociale, e che pone interrogativi fondamentali sul futuro della partecipazione democratica nel nostro Paese.
Come si può notare dal grafico qui sopra, dal 1995 in poi il quorum del 50%+1 dei votanti è stato raggiunto una volta sola: nel 2011 per i referendum, tra gli altri, sull’acqua pubblica, sul nucleare e sul legittimo impedimento per le alte cariche dello Stato. A quella tornata referendaria solo un partito invitò all’astensione completa: il Popolo della Libertà, il partito di Berlusconi.
E’ opportuno ricordare che quella era una stagione politica di forte contrapposizione al Governo Berlusconi IV, che cadde nel novembre dello stesso anno, anche a causa delle sue politiche per combattere la crisi economica mondiale.
Dal 1974, data del primo referendum abrogativo, in Italia si sono tenuti 72 referendum: 39 di essi hanno raggiunto il quorum, mentre i restanti 33 sono rimasti sotto la soglia del 50%+1 dei votanti.
Quando il quorum è stato raggiunto, i Sì sono stati la maggioranza in 23 casi, mentre i No in 16. Risultati completamente diversi quando il quorum non è stato raggiunto: il Sì erano stati la maggiornaza in 32 di essi, mentre il No ha prevalso una sola volta (nel 2000, sull’abrograzione dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori)
Se invece prendiamo in considerazione solo gli ultimi 25 anni di referendum abrogrativi, vediamo come solo i 4 referendum del 2011 già citati abbiano raggiunto il quorum (in questo caso la maggioranza è stata dei Sì in tutti i quesiti), mentre tutti gli altri hanno fallito la soglia. Non cambia il risultato per quanto riguarda la maggioranza di Sì e di No quando i referendum non hanno raggiunto il quorum. Il No, come detto prima, avrebbe vinto solamente in 1 caso su 22.
Tenendo in considerazione tutte le tornate referendarie abrogative dal 1974, l’affluenza media è di poco sopra la metà dei votanti. C’è però una differenza che si è ridotta nel corso degli anni. Separando in due gruppi le affluenze dei referendum che hanno superato il quorum e quelli che invece non lo hanno fatto, si raggiunge rispettivamente il 67,63%, ed il 29,46%.
Se riduciamo i dati dal 2000 ad oggi, vediamo come l’affluenza nei casi in cui il quorum non sia stato raggiunto non sia troppo dissimile dall’affluenza media dal 1974: infatti è andato a votare il 26,45% degli aventi diritto, un differenza di 3 punti. Invece, quando l’affluenza si è raggiunta, la differenza è stata più marcata, ben 12,83 punti in meno (54,8% di affluenza media dal 2000).
Anche questo dato, unito al fatto che il quorum è stato raggiunto solo nella tornata referendaria 2011, per 4 quesiti, ci mostra come la disaffezione sia legata più allo strumento referendario in sé che al suo contenuto. In passato, invece, si ottenevano risultati molto diversi a seconda dell’interesse presente o meno per gli specifici quesiti. L’affluenza media di tutti i referendum che si sono tenuti dal 2000 in poi, infatti, non riesce ad arrivare ad un terzo dell’elettorato, toccando quota 31,8%, un valore nettamente più basso di quello complessivo (50,13%).
Oltre a quanto appena detto, questo crollo può essere ricondotto ad altri tre fattori: crisi dei partiti tradizionali che un
tempo mobilitavano gli elettori, quesiti sempre più tecnici e meno comprensibili al grande
pubblico, strategie politiche che spesso spingono per il boicottaggio.
Non c’è quindi da sorprendersi se sui referendum che voteremo l’8 e il 9 giugno, secondo l’ultimo sondaggio SWG pubblicato su La7, l’affluenza potrebbe essere molto bassa anche questa volta: solo il 54% degli intervistati dichiara di essere a conoscenza dei cinque quesiti referendari, mentre tra il 32 e il 36% degli Italiani si dichiara propenso di recarsi alle urne.

Se finisse così sarebbe un valore superiore alla media degli ultimi 25 anni, ma ancora non abbastanza per raggiungere il quorum.
Mancano ancora 3 settimane prima del voto, ma la strada per il successo dei referendum è sicuramente in salita.
Sonia Graziani
Andrea Cicciomessere
Redazione BiDiMedia