Si sono concluse le operazioni di spoglio per i cinque quesiti referendari su cui si è votato domenica 8 e lunedì 9 giugno. Come noto, l’esito è stato il non raggiungimento del quorum del 50%, pertanto i referendum non sono validi.
Il fallimento dei referendum ha visto la prevedibile gioia del Centrodestra, che aveva fatto campagna elettorale per l’astensione, mentre le opposizioni in generale (con sfumature diverse, come vedremo) devono fare i conti con un risultato insoddisfacente.
Vediamo ora com’è andata più nel dettaglio e quali considerazioni si possono trarre da questa tornata elettorale.
I numeri dell’affluenza
Ha votato il 30,6% degli aventi diritto in Italia, il 29,9% contando gli italiani all’estero, pari a quasi 15 milioni di votanti estero incluso. Nessuna regione o provincia ha raggiunto il quorum, solo una manciata di comuni supera il 50% di votanti (li potrete scoprire nella nostra mappa interattiva di prossima pubblicazione).

Hanno votato di più le provincie di Firenze, Bologna e Reggio Emilia, seguite da altre tra Emilia e Toscana. Si nota una immediata correlazione positiva tra voto e “regioni rosse”, dove è forte il Centrosinistra classico. Anche le principali città del centro-nord, da Milano a Torino a Roma, hanno votato mediamente più delle aree extraurbane. Tutto lascia intendere, come prevedibile, che ad andare al voto siano stati innanzitutto gli elettori del Centrosinistra classico, in particolare di PD e AVS.
Nelle maggiori metropoli del paese si manifesta tuttavia un’anomalia: nelle zone cittadine in cui alle scorse politiche ed europee era particolarmente forte l’area centrista-liberale (AZ, IV), l’affluenza è stata sensibilmente inferiore al previsto. Questo è particolarmente visibile nel Municipio 1 di Milano (Liberali al 20% alle Europee) che dall’essere in media cittadina come affluenza storica, si ritrova diversi punti al di sotto. Stessa situazione si riscontra a Roma e nelle altre città. In questo caso, sembrerebbe che gli elettori liberali, soprattutto di Azione e IV, non si siano presentati alle urne come atteso, probabilmente poco attratti dai 4 quesiti sul lavoro a cui i partiti di riferimento erano contrari o poco interessati. Il richiamo di un solo quesito (il quinto, su cui tutta l’area era per il sì) non è stato sufficiente a portare in massa al voto gli elettori liberali, e solo pochissimi concepiscono l’andare ai seggi a ritirare solo una o due schede su cinque: la maggioranza di chi non vuole votare alcuni quesiti si astiene direttamente.

Ha votato meno di tutti la provincia autonoma di Bolzano, dato spiegabile dal disimpegno della SVP unito ai giorni festivi per i tedescofoni di Pentecoste, seguita da Crotone, Agrigento e altre province meridionali. Da notare che il sud vota sempre meno del nord, il dato medio meridionale non si discosta quindi molto dalle attese, anzi si evidenzia come a Napoli, Taranto e Matera l’affluenza sia stata buona. Se negli ultimi due casi ciò è sicuramente dovuto alla presenza delle comunali nel capoluogo, nel napoletano il dato dell’affluenza mostra come l’elettorato del M5S si sia presentato alle urne in buon numero.
Le aree rosse nel Nord-Est e nella Lombardia rurale, che in genere votano più della media nazionale, evidenziano come l’appello dei partiti del Centrodestra per l’astensione sia stato accolto dalla stragrande maggioranza degli elettori d’area. Anche in questo caso, la correlazione tra zone di forza della maggioranza e voto (in questo caso, non-voto) è molto forte.
I sì e i no: il caso cittadinanza
Tra il 30% di votanti, i 4 quesiti sul lavoro hanno avuto un successo plebiscitario, attestandosi tra 85 e 88% di sì, con differenze non significative tra i quesiti. Evidente che gli elettori di Csx e M5S hanno votato sì pressoché all’unanimità. L’11-12% di no proviene presumibilmente dall’area liberale, da qualche elettore di Cdx che ha votato nonostante tutto (esiste pur sempre una piccola quota di elettori che va a votare sempre per principio) e i pochi rimasti della minoranza “renziana” nel PD, che è tuttavia ormai residuale come numeri: troppo forte la correlazione tra PD e voto positivo ai 4 quesiti sul lavoro.
Molto diversa la situazione del quinto quesito, quello sulla “cittadinanza breve”: i no sono oltre un terzo dei votanti, il 34,5%, una differenza di oltre 20 punti rispetto ai primi 4 quesiti. Circa 3 milioni di elettori hanno quindi votato 4 sì e 1 no, quello al quinto quesito, un numero rilevante.

La differenza è spiegabile con l’ostilità nell’opinione pubblica attuale verso il fenomeno migratorio, ma è particolarmente interessante capire chi può aver votato 4 sì e 1 no, usando come esempio alcuni comuni emiliani.
Nella provincia emiliana, infatti, in alcune zone storicamente di sinistra e dove ancora oggi la sinistra è nettamente prima, il delta tra i quesiti su lavoro e cittadinanza è stato altissimo.
Se andiamo a vedere le sezioni più di sinistra di Pilastri, Reno Centese, Massa Finalese, Canaletto e altri comuni simili, troveremo affluenza sopra media comunale e Si sul lavoro molto alti (come facilmente prevedibile), ma Sì al quinto quesito solo al 45/52%, sotto la media nazionale.
Se invece prendo le sezioni più di destra dei comuni citati, l’affluenza è bassissima, i sì al lavoro sono intorno all’80%, e i sì sulla cittadinanza si attestano attorno al 55%.
Un pattern simile si può riscontrare in tutte le zone in cui è forte il Centrosinistra, nelle città invece i sì alla cittadinanza sono sopra al 70% dei sì, in alcuni casi anche al 75-76%. E’ quindi evidente che una parte, minoritaria ma non piccola, degli elettori del Centrosinistra ha votato no al quinto quesito e tali elettori sono molto più numerosi nelle aree rurali, mentre il Centrosinistra “urbano” è più vicino alle posizioni ufficiali dei partiti.
Chi vince e chi perde: un bilancio conclusivo
Aver raggiunto a fatica (e solo senza estero) il 30% dei votanti rappresenta una indubbia sconfitta per i promotori dei referendum: CGIL per i 4 sul lavoro, +Europa per quello sulla cittadinanza.
Per gli altri partiti delle opposizioni che hanno appoggiato i referendum (tutti, seppur con differenze sui singoli quesiti), il risultato non può essere soddisfacente: hanno portato al voto meno elettori di quanto sperato e si sono esposti ad una sconfitta, che lato mediatico non è mai un fattore positivo. Inoltre il dato del no al quinto quesito impone alla leadership del Centrosinistra una riflessione sulle politiche migratorie che sostengono.
Alcuni aspetti evidenziati in questi giorni lasciano qualche spiraglio positivo per alcuni di essi: il PD e AVS hanno mostrato compattezza sui primi 4 quesiti e capacità di mobilitare attivamente il proprio elettorato, che ha ben risposto alla richiesta di andare alle urne. Anche i 5 stelle, nonostante la cronica scarsa propensione al voto extra-politiche, hanno visto una buona reazione del proprio elettorato. I 13 milioni di sì, estero incluso, al primo quesito sul lavoro (numeri simili sugli altri) sono effettivamente l’asticella indicata da Elly Schlein per un successo, essendo più dei voti al Centrodestra alle ultime politiche. Bisogna però ricordare che l’attuale maggioranza nei sondaggi sembra cresciuta di qualche punto.
Giorgia Meloni esce rafforzata dal referendum: la Presidente del Consiglio è stata apprezzata nella sua scelta di presentarsi comunque alle urne – pur non votando – mostrando rispetto istituzionale per l’istituto referendario e il voto e differenziandosi dagli “appelli per il mare” del resto della sua coalizione. Il Centrodestra conferma che il suo elettorato è fedele e pronto a seguire le indicazioni dei partiti, non deve tuttavia fare l’errore di intestarsi l’astensione: non bisogna dimenticare che con il 50% di astenuti cronici, la “vittoria dell’astensione” era pressoché sicura e solo in parte merito della maggioranza.
Conclusione
Nel complesso, il dato rilevante è duplice:
- Da una parete, le opposizioni non sono riuscite ad allargare il perimetro dei propri elettori. Hanno votato in tutto circa 15 milioni, poco più degli oltre 14 milioni di voti di un ipotetico “campo larghissimo” alle elezioni 2022, ma tra quei 15 milioni ci sono sicuramente anche elettori di Centrodestra, Centro e di partiti minori tra loro non sommabili.
- Esiste effettivamente una opposizione che ha un elettorato potenziale quanto meno comparabile con quello del Cdx. Questo era già visto dai sondaggi, ma nessuna elezione nazionale l’aveva ancora dimostrato. Ora sappiamo che almeno in un referendum questi numeri sono reali.
La tornata elettorale referendaria non ha in definitiva modificato nulla nello scenario politico italiano, ma fa tornare con qualche certezza in più alla domanda che aleggia dal 2022: quei 15 milioni di voti e 13 milioni di sì, possibili perimetri delle opposizioni, saranno sommabili in elezioni politiche? Dalla risposta a tale quesito dipende in buona misura il futuro a breve termine della politica italiana.
Lorenzo Regiroli
Redazione BiDiMedia